Venerdì 12 Novembre per la serie di incontri “Avigliana e il Mondo” si è svolto il laboratorio online su Il gioco nel territorio. Abbiamo parlato con Alessandra Richetto sul
“Mettersi in gioco”. Riguarda la registrazione della diretta Live.
Approfondiamo il tema e gli argomenti trattati con la nostra ospite.
Mettiamoci in gioco
Il gioco ha origini antichissime, le testimonianze arrivano sin dalle origini dell’uomo e da sempre svolge un fondamentale ruolo pedagogico nella formazione dei bambini.
Di fatto, il gioco va a coprire un ventaglio di aspetti che lo declina in base alla situazione:
- Vi è un aspetto culturale, in cui vediamo il gioco come espressione e prolungamento di una data cultura. L’uomo crea ciò che conosce, per cui un gioco nato tra pastori avrà come strumenti oggetti di uso comune, i quali rappresenteranno ciò che per loro è la vita quotidiana. Ad esempio, sassi che rappresentano pecore, bastoncini che rappresentano confini. I cambiamenti della cultura cambiano anche i giochi, basti pensare che fu allo scoppiare della rivoluzione francese che l’asso, nelle carte tradizionali, divenne più importante del re.
- Un aspetto rituale, secondo cui il gioco è foriero di possibili cambiamenti o influenze nella propria vita ad opere di entità superiori. Si pensi ai giochi di gruppo in strada alle feste sacre di paese, o al solitario di carte che da passatempo diventa strumento di divinazione che sfrutta la componente aleatoria delle carte. Un esempio è il gioco del Senet, il primo gioco Egizio di cui si ha testimonianza: un antenato degli scacchi giocato dagli dei dell’aldilà.
- Ne deriva quindi un aspetto sociale, ad esempio il gioco delle carte o i giochi di strada tra adulti e bambini, oppure il gruppo di giocatori di ruolo che si ritrova ad intervalli cadenzati per giocare intorno ad un tavolo. Nei primi casi l’aspetto culturale (e di necessità) del passatempo, diventa un mero strumento per continuare a stare nella società, a contatto con il gruppo dei pari.
- Un altro aspetto è sicuramente quello tecnico, laddove giochi dalle poche regole ma dalle meccaniche complesse come gli antenati dei giochi che conosciamo oggi si sviluppano nel tempo fino ad affinare la propria meccanica, escludendo tuttavia il contesto. Altre volte il contesto e meccaniche vanno a braccetto e insieme sono le fondamenta per sviluppare un gioco pedagogico, come per le origini del Monopoly, creato nei primi del 900 da un’economista il cui scopo era insegnare il funzionamento di una novità: l’imposta unica.
Nei giochi più comuni, oggi, vi è però una sola valorizzazione dell’aspetto tecnico: giochiamo alla settimana ma non sappiamo il perché stiamo saltando su dei riquadri disegnati per terra, giochiamo a scacchi ma non abbiamo idea di quale regnante si stia difendendo: quello bianco? Sì, ma chi è? Carlo V? Vittorio Emanuele di Savoia? T’challa?
Il contesto però, sta riguadagnando i suoi spazi. Le meccaniche accattivanti e note fanno da fondamenta per una costruzione di senso che si basa sulla narrativa: abbiamo citato Monopoly e quasi tutti conoscono Parco Della Vittoria, Imprevisti e Stazioni ferroviarie, se non fosse che oggigiorno esistono miriadi di adattamenti del Monopoly: quello di Harry Potter, quello del Trono di Spade, dei supereroi. L’acquisto, in questo caso, non avviene per possedere un materiale che riprenda le meccaniche di un gioco da tavola, bensì avere del merchandising della propria serie preferita.
Ecco il contesto che torna a galla.
E nei fatti, il contesto è mera narrativa, una narrativa multimediale che viene concretizzata anche tra le pagine dei libri. È infatti il contesto di una storia avvincente, sia fantasy, noir, d’investigazione o fantascienza, che è il motore di uno dei primi giochi narrativi della storia: il libro game.
Un libricino che fa leva sull’impersonificazione del protagonista della storia e il lettore è chiamato a compiere scelte sulle vie da seguire: bevi una pozione, vai a pagina 53. Estrai la spada, vai a pagina 18. In base alle scelte del lettore, l’avventura dell’eroe-lettore continua.
Questo è il grande potere dell’interactive fiction: personificazione, scelte e personalizzazione di una storia a partire dalle nostre esperienze del vissuto e da cui scaturisce un’esperienza di gioco irripetibile e diversa dalle altre.
L’esperienza passa da essere una conseguenza del gioco, ad essere il gioco effettivo. Ma si può ancora fare un passo: l’esperienza come strumento.
Il gioco di ruolo, il ritrovarsi insieme con varie modalità (analogiche, in presenza, tramite siti, via mail) e impersonare un proprio avatar che si muove in un mondo irreale che però occupa lo stesso livello di realtà in cui si alberga la nostra esperienza. Non è necessario dunque possedere alcuno strumento per poter vivere nuove esperienze e comprendere determinate situazioni di stampo puramente umano.
Ci sono giochi di ruolo dalle meccaniche intricate, per i cosiddetti “Power player”, coloro che traggono piacere dal combinare al meglio i meccanismi intricati del gioco, ma la tendenza di oggi è quella di un’entropica semplificazione delle regole. Si sta andando verso giochi in cui la narrativa è l’unico motore.
Perché nel concreto, ciò che muove il giocatore è l’esperienza, la possibilità di esplorare: ecco che il gioco diventa un moratorium, un luogo in cui provare a stare al mondo, a esplorare l’altro e sé stessi senza le conseguenze negative della vita quotidiana. Uno screzio tra personaggi verrà relegato al mondo di gioco, ma l’esperienza del litigio del personaggio e quella del giocatore viaggiano sugli stessi binari; le conseguenze delle azioni compiute “in game”, cioè all’interno del mondo di gioco, non saranno drastiche e definitive per il giocatore, ma tramite esse egli avrà potuto introiettare un pattern di azione-reazione che porterà con sé nella vita di tutti i giorni.
Anche il giocare personaggi molto distanti dalla propria forma mentis, per quanto possibile, è un modo per meglio comprendere i comportamenti altrui e le esperienze degli altri. Mettersi nei panni di qualcuno che ci è totalmente opposto o lontano aiuterà a capire e vedere le cose da un altro punto di vista.
Non sono quindi più necessari numeri e punteggi alti, nessun cavallo che muove a L e banconote ritirate al passaggio dal via: il discorso diventa il vero gioco, e l’esperienza ne è strumento e obiettivo.
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